News n. 1 del 2 giugno 2020
Diritto penale
Ultimo intervento della Cassazione sul tema della responsabilità sanitaria.
Cass. sez. II^ penale, sent. n. 15258/2020, Agnello
Con la sentenza in rassegna, la Corte di Cassazione ritorna sul responsabilità medica, all’indomani di Cass., sez. un., 21 dicembre 2017, n. 8770, Mariotti, storica pronuncia in tema di disciplina della responsabilità medica all’indomani della L. n. 24/2017 (cd. Legge “Gelli Bianco”), subentrata al D. l. n. 158/2012 (cd. Decreto “Balduzzi”) a normare la disciplina.
Nella pronuncia in commento, la Corte ha dapprima ripercorso l’evoluzione normativa, caratterizzata, prima dall’art. 3, comma 1, del D. l. n. 158/2012 e poi dalla novella della L. n. 24/2017, che ha introdotto l’art. 590-sexies c.p.
Con riguardo all’art. 3 del d.l. n. 158/2012, si è posto in rilievo come la giurisprudenza di legittimità abbia raggiunto una serie di punti fermi: a) la limitazione della responsabilità del medico all’ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica anche diversi dall’imperizia; b) l’abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 c.p., avendo l’art. 3 cit. ristretto l’area del penalmente rilevante rispetto alla fattispecie comune; c) l’onere dell’accusa di dimostrare che ricorrono le condizioni per la rilevanza penale del fatto contestato e quindi che la condotta colposa non è stata tenuta attuando linee guida pertinenti al caso concreto, o che si è in presenza di colpa grave.
Non solo. È stato rilevato come l’introduzione dell’590-sexies c.p., ad opera della L. n. 24/2017, ha determinato un nuovo cambio di scenario, riassumibile, alla luce della sopra ricordata sentenza Mariotti (Cass. SS. UU., sent. n. 8770/2017) nei seguenti termini: a) la nuova fattispecie ha natura giuridica di causa di non punibilità; b) essa trova applicazione nei soli casi di imperizia, nella fase di attuazione delle esattamente individuate linee-guida; c) la colpa del sanitario è suscettibile di irrilevanza penale solo se di grado lieve.
La diversità tra discipline certamente insistenti sulla medesima materia ha posto anche questioni in ordine all’identificazione di quella applicabile ai sensi dell’art. 2 co. 4 c.p. Secondo l’insegnamento delle sezioni unite, l’abrogato art. 3 comma 1, del D. l. n. 158/2012, si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies c.p., sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto.
In definitiva, il giudice di merito, investito del compito di pronunciarsi in ordine alla responsabilità dell’esercente una professione sanitaria per l’evento infausto causato nel praticare l’attività, ove concluda per la attribuibilità dell’esito alla condotta colposa dell’imputato, è tenuto a rendere una articolata motivazione, dovendo indicare, tra l’altro: 1) se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali; 2) di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza); 3) se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle pertinenti linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali e, in generale, quale sia stato il grado della colpa; 4) ove il reato non sia stato commesso sotto la vigenza dell’art. 590-sexies c.p. a quale delle diverse discipline succedutesi nel tempo debba essere data applicazione, in quanto più favorevole all’imputato nel caso concreto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, 4° comma, c.p.
Nell’ampia ricostruzione del panorama giurisprudenziale operato dalla sentenza in rassegna, particolare rilievo è, infine, assegnato, innanzi tutto, alla difficoltà di distinguere, in concreto, l’area dell’imperizia da altre fattispecie soggettive cui può essere ricondotta la colpa e, in particolare, negligenza e imprudenza.
La perizia è connotata di attività che richiedono competenze tecnico-scientifiche o che presentano un grado di complessità più elevato della norma per le particolari situazioni del contesto. Presuppone pertanto la necessità che il compito richieda competenze che non appartengono al quivis de populo e che sono tipiche di specifiche professionalità: in linea di massima, l’agire dei professionisti in quanto tali e, quindi, anche dei sanitari, si presta ad essere valutato primariamente in termini di perizia/imperizia.
In ogni caso, è cruciale definire l’eziologia dell’errore. Ove sia il carattere negligente o imprudente della condotta a fare da fondamento alla pronuncia di condanna, non può che trovare anche in questo caso, ove persista incertezza in ordine a quell’origine, il canone del favor rei, quale complemento della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
La sentenza, infine, si impegna nel tracciare una distinzione tra colpa lieve e colpa non lieve, prendendo le mosse dalla necessità di individuare la classe specifica dell’agente modello assunto, onde rendere esplicite, con la motivazione, le basi del giudizio sul grado di divergenza tra esigibile e attuato.
Il grado della colpa, ai fini della personalizzazione del rimprovero che può essere mosso all’agente e, quindi, della rilevazione del suo grado di colpevolezza, va determinato considerando: 1) la gravità della violazione della regola cautelare; 2) la misura della prevedibilità ed evitabilità dell’evento; 3) la condizione personale dell’agente; 4) il possesso di qualità personali utili a fronteggiare la situazione pericolosa; 5) le motivazioni della condotta. Nel caso in cui coesistano fattori differenti e di segno contrario, il giudice deve valutarli comparativamente.
Con specifico riferimento all’esercente una professione sanitaria, si precisa che di colpa grave può ragionevolmente parlarsi solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, avuto riguardo ai parametri deducibili dalle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento: quando, cioè, il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente. Quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della patologia
La sentenza in epigrafe non manca di porre in rilievo la necessità della chiarificazione in ordine alla relazione fra le linee guida e le regole cautelari. In tal senso, si precisa che le linee guida posso essere considerate in ottica differente: 1) come veicolo di mere raccomandazioni, dal contenuto generico e defettibile, che sta al sanitario valutare come adeguate al caso specifico e/o adattare alle particolarità dello stesso; 2) come vere e proprie regole cautelari rigide; 3) come regole cautelari elastiche. Qualunque sia l’ottica rispetto alla quale vengano sussunte le linee guida, viene posta in evidenza l’esistenza di uno spazio valutativo, affidato per intero al sanitario, che in solitudine è chiamato a individuare l’agire doveroso.
Orbene, l’adempimento di questo dovere di riconoscimento della situazione di rischio e di individuazione della risposta cautelare più efficace, può risultare più o meno agevole: lo è in modo diverso a seconda che la raccomandazione/regola abbia carattere rigido e sia esaustiva o abbia carattere elastico, magari indicando presupposti definiti solo genericamente. Occorre pertanto tenere nella giusta considerazione non solo, quindi, l’oscurità del quadro clinico, ma anche la difficoltà del sanitario di riconoscere la situazione di rischio e di individuare la misura, da adottare per effetto della lacunosa positivizzazione.
La pronuncia in esame si conclude con un monito di rilievo, che consiste nel richiamo all’acquis delle neuroscienze, ormai accreditato, secondo cui la mente umana ha una naturale inclinazione a variare il giudizio in merito al grado di prevedibilità di un evento infausto, a seconda che si conosca o meno la sua verificazione (cd. hindsight bias) e, inoltre, a considerare tanto più evitabile l’evento infausto quanto più questo è grave (cd. outcome bias).
Questa precisazione vale a inquadrare il problema di un giudizio che deve rimanere ancorato alla prospettiva dell’ex ante.